Ieri sera a Servizio Pubblico, il programma multipiattaforma di Michele Santoro, c'è stato un acceso scambio di parole tra l'onorevole Roberto Castelli (Lega Nord) e un operaio della Sardegna. La scarsa volontà, da parte dell'onorevole, di ascoltare l'interlocutore senza interromperlo ha suscitato un'infelice reazione nell'operaio che apostrofandolo gli ha detto: "Castelli, non rompere i coglioni, a me". Subito dopo questa frase, l'onorevole si è alzato dalla sua postazione e ha abbandonato lo studio.
Cosa non ha funzionato nel circuito di rispetto reciproco che dovrebbe instaurarsi tra due dialoganti, specie se si tratta di un politico e di un suo concittadino? Questa domanda si può astrarre dal caso specifico di ieri sera ed estendere alla condizione generale che ultimamente ha caratterizzato il rapporto elettori-eletti in Italia. Se il contesto politico non è anomalo, il cittadino porta rispetto al politico e una reazione del genere è giustamente considerata sbagliata. Il problema è che in Italia si vive una situazione tutt'altro che normale, per la quale anni e anni di politica dell'insulto, della parolaccia e dei gesti osceni producono la paradossale giustificazione a queste reazioni dei cittadini. La politica del terzo dito non può indignarsi della risposta brusca del cittadino. Al contrario, invece, può farsi carico della responsabilità di un diverso linguaggio e di un tono di confronto serio e pacato, determinato ma disponibile all'ascolto. In questo senso, credo che il ruolo "educativo" della politica sia fondamentale.
(Dopo che dalla Sardegna sono giunte queste parole: "La politica è incapace di ascoltare e di reagire, di dare risposte", dallo studio l'onorevole Castelli ha ribattuto, forte dell'arrogante pseudo-ideologia secessionista della Lega: "Sto parlando delle aziende lombarde". E da qui è nato il caos, che va ancora oltre al problema di linguaggio. Ma questo è un altro argomento).