
L'Italia è, sulla carta, una nazione federale. Con la legge 42 del 5 maggio 2009, infatti, il Governo è predisposto a eseguire decreti attuativi di materia federale. Visto che quest'anno il nostro Paese festeggia i 150 anni d'Unità, vale la pena spendere qualche parola su questo argomento.
Il federalismo viene attuato per la prima volta in America sul finire del 1700, quando alcuni stati, unitisi attorno a un principio di collaborazione sovranazionale che garantisse allo stesso tempo le libertà dei singoli, diedero vita alla grande struttura sulla quale poggiano tutt'oggi gli U.S.A.
In Italia forse una delle voci più importanti che parlarono del federalismo fu quella di Carlo Cattaneo. La sua analisi non lascia scampo: questa particolare teoria politica affonda le proprie radici nel foedus, un forte patto di collaborazione, che garantisce l'unione dei singoli stati liberi ("L'unione libera che fa la forza"). La visione di un'Italia libera costituita dall'insieme dei Principati uniti ma indipendenti nelle scelte infranazionali rappresenta, secondo Cattaneo, l'unica possibilità per poter conservare la libertà stessa dall'influenza di sovrani dispotici e oppressori.
All'interno di una più vasta ottica europea, la libertà diffusa a livello locale, -affinché potesse essere meglio difesa-, avrebbe permesso di governare in funzione dei bisogni di ogni singolo popolo.
Questa concezione "pura" di federalismo è ripresa, seppur con caratteri diversi, da un'altra figura risorgimentale Italiana: Gioberti. Uomo riflessivo e moderato, espressione del neoguelfismo italiano, attribuiva all'Italia un primato internazionale: la religione. L'invito alla penisola era preciso e mirato: la conquista dell'indipendenza dallo straniero si sarebbe ottenuta solamente rapportandosi alle proprie radici, ovvero considerando quella categoria storica rappresentata dai papi in grado di guidare una confederazione Italiana insieme al regno Sabaudo.
I primi a parlare di federalismo infranazionale e non più sovranazionale in Italia sono i fondatori, a inizio '900, del Movimento per l'Indipendenza della Padania, conosciuta anche come Lega Nord. Questo movimento politico ha sostenuto e sostiene che lo stato unitario non riesca a esprimere appieno le volontà dei singoli popoli e che possa rappresentare, quindi, un ostacolo per quelle regioni che si affermano come più sviluppate, cioè quelle settentrionali.
Il consenso crescente attorno a questo movimento ha determinato la conseguente elezione dei rispettivi deputati in Parlamento e la scelta di votare leggi di base federalista infranazionale. Il federalismo fiscale, in particolar modo, si concentra sull'indipendenza e sulla responsabilità delle singole regioni in materia di gestione economica, ovvero di spese e introiti. Le regioni più virtuose avrebbero a disposizione capitali maggiori per poter pareggiare i bilanci e investire al contempo, mentre le regioni meno sviluppate sarebbero fortemente indotte alla responsabilizzazione degli organi amministrativi a causa della considerevole diminuzione dei fondi messi loro a disposizione.
In risposta a questa teoria hanno manifestato il proprio dissenso economisti (anche Tremonti disse che il federalismo fiscale è un salto a occhi chiusi), intellettuali e giornalisti.
Due figure in particolare, una storica e una contemporanea, si esprimono in maniera molto precisa:
Giuseppe Mazzini, nel programma della Giovine Italia, dichiarava fermamente che il federalismo fosse negativo in quanto capace di smembrare in molte piccole sfere la sfera nazionale, cedendo il campo alle piccole ambizioni e divenendo sorgente di aristocrazia. E quale potrebbe essere, oggi, questa forma di aristocrazia locale e ambiziosa?
Roberto Saviano risponde che quella forma di aristocrazia è oggi incarnata da un fenomeno criminale e sociale denominato mafia, e che l'Italia dovrebbe tenere conto della presenza di questo fenomeno accorgendosi che la volontà di rendere le regioni indipendenti significherebbe accentrare maggiori poteri a nuclei maggiormente circoscritti. Questi nuclei più piccoli sono assai più facili da gestire da parte di grandi organizzazioni criminali ben radicate nel territorio, come la camorra e la 'ndrangheta. Un progetto federalista si rivelerebbe anacronistico rispetto alle realtà e alle esigenze della popolazione. In tal senso, oggi come oggi è quanto mai indispensabile la presenza di uno stato unitario, di un'Italia che sia repubblicana e che non consenta ad altri stati dentro lo Stato (così sono anche definite le organizzazioni criminali mafiose) di poter prevalere ed esistere. Se lo Stato Italiano dovesse dividersi, gli altri stati nello Stato si rafforzerebbero. Distinguiamo dunque gli obiettivi storici: mentre una soluzione federalista a metà '800 avrebbe potenzialmente favorito la libertà dei popoli Italici, nel 2011 un federalismo teso al ripristino delle divisioni antiche genererebbe davvero quel distacco geografico e territoriale di un'Italia settentrionale e di un'Italia meridionale formata da bande.