sabato 26 febbraio 2011

Il risorgimento africano

La storia ci insegna che il popolo non transige su due questioni fondamentali: il pane e la libertà di pensiero. In tal senso possiamo trovare un’interessante connessione tra gli avvenimenti di queste settimane che stanno facendo tremare il Maghreb africano e alcuni aspetti delle imprese risorgimentali italiane di metà e fine ottocento, che portarono all’unificazione italiana.

In entrambi i casi è possibile studiare come i moti di ribellione e rivoluzione siano scatenati da una situazione economica sfavorevole, dal carovita imperante e dal forte tasso di disoccupazione. In Tunisia si è parlato di “rivolta del pane”, esattamente come in Italia si parlò di prime agitazioni sociali su scala nazionale, nel 1869, a seguito dell’introduzione della tassa sul macinato, varata a pochi anni dall’unificazione per far fronte alle ingenti spese del nuovo regno. Si parlò, specie nelle campagne padane, di ribellioni violentissime represse nel sangue. Il problema era rappresentato dal fatto che la tassa colpiva le classi sociali più basse, che di solo pane si nutrivano. In quel periodo la popolazione dedita all’agricoltura rappresentava più della metà del numero totale (22 milioni di abitanti, esclusi Veneto e Lazio, non ancora annessi) e l’economia agricola stentava a decollare. La legge fu abolita soltanto nel 1884, dopo essere stata notevolmente ridotta nell’ ’80.


Altra legge, sull'aumento dei prezzi di grano e olio: a Sidi Bouzid, in Tunisia, a gennaio di quest'anno un venditore ambulante si dà fuoco, un muratore disoccupato si impicca. Il mese precedente il popolo dà fuoco a una banca e a diversi edifici pubblici, mentre la guardia nazionale reagisce sparando colpi in aria. Il culmine della crisi economica e sociale, della situazione di disoccupazione e povertà.

E’ il “bottom wind” africano, che attraversa tutto il nord africa e depone, uno ad uno, i tiranni locali. Ben Alì è fuggito all’estero e Mubarak non è più presidente dell’Egitto. In questi giorni, Muammar Gheddafi è asserragliato a Tripoli.

Ai telegiornali si sente che in tutti questi casi una delle prime mosse da parte degli uomini di potere è stata quella di togliere la possibilità alle persone di comunicare tra loro a distanza, oscurando le reti internet e cellulari. E’ stato un gesto inedito ma ricco di significato: con l’avvento della rete, “the net”, organizzarsi e organizzare le rivolte, informare e informarsi, capire e prendere posizioni è molto più facile. Per questo la popolazione è stata immediatamente privata di questa possibilità dalle rispettive “sale dei bottoni” dei governi. Una situazione innovativa, quella di Internet, che ha avuto il suo riconoscimento con la scelta di eleggere a uomo dell’anno 2010 proprio il ventiseienne statunitense Mark Zuckerberg da parte del magazine settimanale Time. La motivazione è chiara: Zuckerberg è “the Connector”, il collegatore. Grazie a Facebook gli individui condividono volontariamente le informazioni e questo dà loro l’idea di avere più potere (questa scelta ha escluso Julian Assange dalla competizione, che con Wikileaks, secondo le motivazioni del magazine, ha come finalità il depotenziamento delle grandi istituzioni attraverso una trasparenza involontaria).

Oscurando le comunicazioni i governi non solo non hanno ottenuto gli obiettivi sperati ma hanno dovuto capitolare di fronte alle rivolte già partite per le strade e nelle piazze.


La volontà di limitare la circolazione di idee, o quantomeno di controllarle, non è nuova alla penisola italiana, che sotto lo stretto controllo da parte dell’Austria vedeva soffocato, a soli dieci anni dall’inizio della sua diffusione (500 abbonati), il periodico mensile “L’Antologia”. Questa rivista sviluppò una serie di progetti educativi e tentò la collaborazione con il governo. Era il 1831 quando Leopoldo II, Granduca di Toscana, sotto pressione austriaca, impose la chiusura del mensile. La lamentela si elevò puntuale, nel 1835, da un opuscolo in lingua francese dal titolo “Fede e avvenire”. A scrivere era un fervente Giuseppe Mazzini, a carattere più generale: “La stampa? I Governi la uccidono: avete per ogni dove leggi che incatenano, censori che tormentano lo scrittore, giudici che condannano e chiudono il pensiero in una prigione. [...] Ma ponete una paese privo assolutamente di stampa, senza Parlamento o Consigli che discutano, senza giornali letterari, senza teatro nazionale, senza insegnamento popolare, senza libri stranieri. Ponete che quel paese soffra, soffra tremendamente, nelle sue moltitudini come nelle classi agiate, di miseria, d’oppressione straniera e domestica, di violazioni continue del suo principio nazionale, d’assenza di ogni sviluppo intellettuale e industriale. Che farà mai quel paese? [...] L'insurrezione, io non vedo, per quei popoli, altro consiglio possibile”.


Pane e libertà di pensiero, appunto: alcune scintille dei fuochi rivoluzionari italiani del 1800 e di quelli africani del 2000.

Così, mentre ci accingiamo a celebrare la data che sancisce il secolo e mezzo da quegli eventi, saremo un po’ più consci che quello che si sta manifestando in Africa è forse il risorgimento del ventunesimo secolo.


venerdì 4 febbraio 2011

Tensione egiziana

Nel 1981 il presidente egiziano Anwar Al-Sadat viene assassinato durante una parata militare. Gli succede Hosni Mubarak, che da allora sino a oggi ha detenuto e detiene il potere di presidente d’Egitto. All’epoca, per scongiurare ulteriori attentati, fu immediatamente approvata una legge, la cosiddetta “Emergency law”, che legalizzò la censura di stampa, estese notevolmente i poteri della politica e sospese alcuni diritti costituzionali.

Ahmed Dogmosh, che in queste ore documenta l’enorme manifestazione popolare di piazza Tahrir con fotografie e video, mentre il regime comincia a imprigionare i giornalisti e i funzionari dell’ONU abbandonano il paese in vista di una guerra civile, è stato raggiunto dal blog e cortesemente risponde ad alcune domande. Dalle risposte emerge una nazione stremata dal sistema corrotto e privatizzato dalla falsa democrazia di Mubarak, dove ancora una volta la sfera privata di un singolo intacca e sfrutta la sfera pubblica dello Stato.


Caro amico, i nostri giornali parlano di una potente forza di polizia che, a seguito di questa manifestazione e grazie a un contorto gioco di potere, ha costretto Mubarak a designare in questi giorni come vice-presidente Omar Suleiman, il capo dell’intelligence, al posto di suo figlio. Chi detiene effettivamente il potere in Egitto?

Ti posso dire che Mubarak possiede poteri speciali per governare sul popolo e sullo Stato intero. Egli sa che la nazione è d’importanza nel mondo e lui vuole mantenere il suo potere. In questi anni non ha fatto nulla per combattere un sistema di corruzione che anzi è collegato al suo personale interesse in alcuni affari interni con uomini d’affari che sono in stretti rapporti di amicizia con suo figlio. Questi uomini d’affari hanno tratto notevoli vantaggi da questo legame di amicizia per tutti questi trent’anni di governo. Inoltre hanno trovato un prezioso alleato nella Emergency law per attuare i propri interessi.

Ecco, l’Emergency law. Di cosa si tratta esattamente?

L’Emergency law è stata sviluppata in modo particolare per mantenere saldi l’autorità e il governo rappresentati dal Presidente. Inoltre prevede la soppressione di qualsiasi persona che tenti di andare contro il governo. Questa legge conferisce il diritto di entrare nella tua casa e portare in prigione le persone senza alcuna accusa o senza processo giudiziario.

Mi confermi che Mubarak è stato supportato dagli Stati Uniti nel corso di questi anni?

Mubarak ha venduto gas a Israele a un costo inferiore al 20% di quello originale. Ha fornito acciaio e cemento a Israele per la costruzione del muro di separazione a Gaza per favorire la pace con Israele. Questo è quello che l’America vuole da Mubarak.

Passando alla manifestazione pacifica di questi giorni, le notizie parlano comunque di centinaia di vittime: ci sono stati casi di violenza da parte della polizia? Si dice che la polizia infonda paura tra la popolazione per dissipare la protesta.

Sì, ci sono parecchie vittime e ti confermo la violenza da parte della polizia. Non escludo nemmeno atti intimidatori da parte della polizia stessa. Tra l’altro puoi vedere in TV alcune persone vestite in borghese che torturavano i manifestanti, durante le prime manifestazioni.

Ma quindi è la polizia a detenere il potere? E’ la polizia a determinare le azioni del Presidente?

La polizia egiziana non ha potere ma Mubarak ha utilizzato anche la polizia per occupare la sedia presidenziale.

E’ impressionante vedere così tante persone che chiedono le dimissioni di Mubarak e che la manifestazione si sta protraendo per giorni. Quanti sono i manifestanti?

Lo scorso martedì a Piazza Tahrir nel centro della città c’erano quasi due milioni e mezzo di manifestanti. Ad Alessandria c’erano un milione di persone.

Cosa chiedono i manifestanti?

Mubarak non vuole combattere la corruzione e non vuole cambiare lo status quo dell’Egitto. Un punto di partenza per il cambiamento è la cancellazione della Emergency law, che impedisce il cambiamento da molto tempo. Anche l’articolo 88 della Costituzione andrebbe rivisto, poiché attualmente rifiuta qualsiasi forma di supervisione giuridica, anche internazionale, durante le elezioni. L’articolo non è mai stato modificato.

Nel frattempo Obama lancia un appello al Presidente affinché “la transizione inizi ora”. Cosa accadrà secondo te? Mubarak ha promesso che non si ricandiderà alle elezioni: finirà con lui la corruzione? Ci sono figure politiche capaci di fare dell’Egitto una vera democrazia?

Devi capire che la corruzione non è solo in Mubarak. La corruzione parte dal Partito Nazionale Democratico. La Costituzione afferma che debba essere il partito a nominare un nuovo Presidente. In parlamento ci deve essere, presso la Camera dei Rappresentanti, almeno un membro per ogni partito politico eletto. Alle ultime elezioni il 90% dei seggi della Camera era occupato dal partito di Mubarak, grazie ai brogli elettorali.

Quindi non c’è una forte opposizione parlamentare?

Cosa vuoi dire?

Voglio dire, se mi hai detto che il 90% dei seggi è occupato dal Partito Nazionale Democratico, allora nel vostro paese c’è una sorta di dittatura, ovvero non ci sono forti partiti di opposizione. E’ vero?

Sì, non ci sono forti partiti di opposizione. In compenso ci sono membri dei Fratelli Musulmani (il maggior partito di opposizione islamico, ndr) indipendenti che sono molto popolari nel paese. Nel 2005 le elezioni furono supervisionate e i Fratelli Musulmani hanno ottenuto il 15% dei seggi.


Ok, ti ringrazio per il tempo che mi hai dedicato e per le informazioni che mi hai dato.