sabato 18 giugno 2011

Anche in Italia è arrivata la primavera democratica










Il vento di democrazia, prima o poi, arriva. Dal Maghreb alla Spagna - con gli Indignados- fino in Inghilterra. In qualche modo anche in Italia, non violento ma calmo e deciso. Un po’ come aveva detto D’Azeglio, che nel 1847 scrive: “Crediamo che le soli e reali fondamenta d’un migliore ordinamento futuro [...] stia nel cercare intanto di ottener quello che è possibile, per trovarsi a portata dei mezzi de’ quali possiam disporre.”
Alla fine il vento di democrazia ha spirato anche in Italia. Non violento ma caldo, morbido e carico di voglia di partecipare. In primo luogo alle elezioni comunali e provinciali. Al di là dei risultati elettorali, che hanno visto in più casi l’incontro-scontro non tra parti politiche ma tra diverse impalcature culturali - quella del coraggioso cambiamento e quella della rigida paura, come a Milano - il dato vero e degno di rilievo è questo: ha vinto e si è affermato, dove è stato possibile, chi ha deciso di mettersi nelle mani dei cittadini. E questa è la più straordinaria delle rivoluzioni politiche in Italia, dove solamente in alcune tipologie d’elezione i cittadini possono scegliere il proprio candidato, la persona, un nome. Significativa a tal proposito è la dichiarazione del neo-sindaco di Milano, Giuliano Pisapia, da piazza Duomo: “Vi chiedo una cosa, fatemi una promessa: non abbandonatemi mai.
Ha vinto ancor prima il popolo delle primarie della sinistra e tra gli altri si è nettamente affermato il Movimento Cinque Stelle (10% a Bologna), che della democrazia partecipativa fa il suo caposaldo in politica. Provate a chiedere a Mattia Calise - neo-consigliere di Milano per il Movimento fondato da Grillo - di definire il suo ruolo politico: vi risponderà che è una “periferica dei cittadini in Comune”.
Vince e vincerà chi meglio saprà uscire dal palazzo e costruire il futuro politico con la partecipazione di tutti i cittadini, sempre più convinti e desiderosi di capire e definirsi, al di fuori di “quell’atteggiamento di distanza che faceva sì che i poteri potessero comprare un voto a poco prezzo, o potessero condizionare con semplici manovre pubblicitarie il voto poco prima di andare alle urne”, come ha detto in questi giorni Roberto Saviano.
Ma il vento di democrazia non ha cessato di spirare il 30 maggio. Ha proseguito fino a giugno, in vista dei quattro referendum abrogativi del 12 e 13. E ancora una volta, il popolo ha deciso non solo di manifestare ma di manifestarsi, attraverso il più democratico dei voti, su quattro quesiti concernenti la gestione dell’acqua, il piano energetico nazionale e la giustizia. La risposta è stata chiara e potente, incontrovertibile. Ci siamo ricordati che la legge è uguale per tutti, che esistono valide e sicure alternative alla tecnologia morta e mortifera del nucleare e abbiamo deciso che possa essere ancora possibile scegliere a chi affidare la gestione dell’acqua del nostro paese: a società pubbliche, miste pubblico-private o private. Con i dati alla mano, ci siamo ricordati che a Parigi, ad esempio, la privatizzazione dell’acqua ha portato un aumento dei prezzi e all’inefficienza del servizio, mentre ora le cose vanno meglio da quando L’ “Eau” è tornata a essere “de Paris”, cioè pubblica.
Quattro voti civili, non partitici. La campagna vera è stata organizzata da persone, da ragazzi e ragazze che in veste di cittadini hanno informato i loro concittadini. Come a Castelbuono, in Sicilia (Pa), dove l’acqua è davvero un bene prezioso: il comitato locale per l’acqua pubblica era in piazza Margherita, il cuore del paese, e uno degli organizzatori, Emanuele Ferraro, mi disse che il loro obiettivo era “smuovere i cittadini, specie i più anziani, che vogliono che l’acqua rimanga pubblica ma non se la sentono di andare a votare”.
Nel paese, la percentuale di voto per il primo quesito sull’acqua è stata, alla fine, del 61,64%. I si il 97,39%.
Quattro leggi o parti di legge che sono state spazzate via dalla volontà popolare. La stessa volontà di cui erroneamente si incensa il presidente del Consiglio quando tenta di legittimare qualsiasi atto politico o uso del suo potere.
Il significato politico è consequenziale all’espressione del voto referendario, che altro non è stato che una verifica della sintonia tra esecutivo ed elettorato. Tutte e quattro le leggi erano state presentate da questo Governo e immancabilmente sono state bocciate. Nel voto appare chiara ancora una volta la volontà dei cittadini di richiedere un futuro costruito diversamente da quanto viene proposto dai palazzi. E quando un Governo non è più capace di rappresentare la maggioranza del paese, forse è il caso che si metta da parte.

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