giovedì 29 dicembre 2011

Antitrust vs Apple - Facciamo i conti

"Reato commesso da chi per mezzo di artifici o di raggiri induce una persona in errore allo scopo di procurare a sé o ad altri un illecito profitto con danno"

Questa è la definizione che si può leggere sul vocabolario italiano alla voce "truffa". Sicuramente è un termine forte, che evoca i peggiori scandali economici. 
Tutto cambia, invece, quando si parla di "pratiche commerciali scorrette", l'accento è chiaramente più lieve; così l'Antitrust si è espressa nei confronti del gruppo Apple (Apple Sales International, Apple Italia S.r.l. e Apple Retail Italia).

Ma procediamo con ordine.

Il 27 dicembre 2011, l'AGCM (Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato), rende pubblica, attraverso un comunicato apparso sul suo sito (reperibile qui), la notizia della sanzione di 900.000 euro, inflitta dall'Antitrust al gruppo Apple Italia.
Vengono contestate al gruppo della mela due pratiche commerciali:

- la prima riguarda "la mancata informazione, sia al momento dell’acquisto che al momento della richiesta di assistenza, ai consumatori sui diritti di assistenza gratuita biennale previsti dal Codice del Consumo, ostacolando l’esercizio degli stessi e limitandosi a riconoscere la garanzia convenzionale del produttore di 1 anno";
- la seconda è complementare e riferita "alla natura, contenuto e durata dell'informazioni sui servizi di assistenza aggiuntivi a pagamento AppleCare Protection Plan, che erano tali da indurre i consumatori a sottoscrivere un contratto aggiuntivo". 

L'accusa dell'Antitrust si può riassumere dicendo che Apple, non fornendo le adeguate spiegazioni sulla durata e sulla natura della garanzia dei prodotti, vendeva ai propri clienti la garanzia sugli stessi, già inclusa e gratuita. 

Sono accuse gravi, che senza un'adeguata esemplificazione numerica possono essere in qualche modo "snobbate". 

Vi prego di seguirmi in questo rapido calcolo.
Attraverso il sito store.apple.com si può notare come i prezzi relativi all'AppleCare Protection Plan (le cui caratteristiche sono riassunte qui) variano da prodotto a prodotto. Facendo una semplice media, si può affermare che il suo prezzo sia mediamente di 170 euro aggiuntivi.
Questo dato ci tornerà utile più avanti.
Secondo i dati ISTAT, aggiornati all'anno 2011, le famiglie possessori di un qualsiasi tipo di computer portatile sono il 58,8%, quindi circa 13 milioni di famiglie.
Di questi 13 milioni, StatCounter stima che il 7% utilizzi il sistema operativo MacOSX, e possieda quindi un computer Apple. La cifra si aggira indicativamente intorno alle 900.000 unità.
Ipotizziamo che, di queste 900.000 unità, il 30% (270.000) sia stato acquistato con annesso AppleCare Protection Plan con un costo medio di 170 euro (superflui, visto che la garanzia biennale avrebbe dovuto essere già presente e gratuita). 

La moltiplicazione è semplice, e la somma spaventosamente alta.

Quest'ultima cifra (a voi il piacere di fare l'ultimo, scioccante passaggio) è basata su ipotesi di calcolo, ottenute dai dati ricavati da diverse fonti, ma viste le accuse mosse dall'Antitrust, si potrebbe rivelare decisamente plausibile.

Dopo esserci occupati la settimana scorsa della situazione Trenitalia, anche Apple offre spunti per una discutibile gestione commerciale del proprio brand, in un mercato che, come ci insegna la corrente crisi economica, basa i suoi principi sulla credibilità e sulla trasparenza.
In settori diversi e con proporzioni differenti, queste due aziende leader ci hanno dato il loro esempio. È questa la strada corretta da seguire?

venerdì 23 dicembre 2011

l'occupazione di Milano Centrale: "Il lavoro è la nostra dignità"


Storia di un'Italia che resiste e che esiste. Alla stazione di Milano Centrale, la notte, la temperatura scende sotto lo zero. Eppure da più di dieci giorni Carmine, Giuseppe e Oliviero, tre degli 800 lavoratori dell’indotto di Ferrovie dello Stato, sono su una torre faro e gridano attraverso gli striscioni che il loro lavoro è la loro dignità e la loro vita. Con loro, sotto alla torre, si sono organizzati i colleghi e le famiglie. Gli stessi colleghi che hanno occupato, sotto l’immensa tettoia grigia che ripara i convogli che arrivano e partono, un ufficio dentro al quale non può accedervi nessuno. Fuori dalla porta, davanti al binario 21, raccolgono le firme per una petizione che chiede la restituzione delle Ferrovie dello Stato all’Italia. Perché di questo, ci dicono, si tratta: nuove strategie di viaggio. “Le Fs hanno un cuore pubblico, ma una mente sempre più privata” ci spiega Domenico, di presidio all’ufficio. “L’Italia è spezzata in tanti segmenti ora. I treni a lunga percorrenza, quelli che viaggiano di giorno e di notte dal Sud al Nord, non esistono più. Ora investono solo sull’alta velocità, sulle Frecciarossa e Frecciargento. È una vera imposizione: i passeggeri sono costretti a dover usufruire dell’Alta Velocità in modo da mantenere un mercato che possa fare concorrenza al nuovo servizio Ntv. Il problema è che l’Alta Velocità è molto più costosa, e il treno diventa un mezzo di trasporto elitario”. Ma la cosa che fa arrabbiare Domenico è che Ferrovie dello Stato è un servizio pubblico, finanziato con le tasse di tutti i cittadini. “Inizialmente il boicottaggio era fatto di gesti: alla biglietteria non ti facevano il biglietto, sui nostri palmare di bordo risultavano posti letto che in realtà non esistevano, perché avevano tolto le carrozze. Ora hanno tolto definitivamente anche noi”. Per la petizione ci fanno sapere che hanno raccolto già 4500 firme. I passeggeri che scendono dai vagoni si fermano e manifestano la loro solidarietà. “Anche se non tutti capiscono il motivo della nostra occupazione. L’altro giorno è passato un viaggiatore e ci ha risposto: ‘Sono di Firenze, non mi interessa’. E tu ti chiedi: ma dove vive? Non è forse Firenze una città d’Italia?”. Mentre parliamo ci indicano una signora. È cieca e per questo accompagnata. Ci dicono che è a Milano per una visita al San Raffaele e viene dalla Puglia. Ha dovuto spendere 90 € per il biglietto, perché i più convenienti treni notte per Milano non esistono più. Arrivano le famiglie che ci accompagnano alla torre occupata, attraverso i binari che si snodano all’infinito. La brina ha intaccato tutte le assi di legno dei binari morti. Giorgia lavorava sulla percorrenza Milano-Roma. È separata e ha un figlio, che riusciva a mantenere con il suo stipendio. Ora che è stata licenziata dovrà affidare il bambino al padre. “È cresciuto così in fretta. Quest’anno ha cominciato la prima elementare e va molto bene a scuola. Ha capito perfettamente la nostra situazione, la mancanza di certezze. È lui a darmi la forza”. Quando arriviamo sotto alla torre, ai nostri occhi si presenta l’immagine di una piccola comunità organizzata. Hanno allestito una cucina da campo, sono estremamente gioviali, ci offrono il caffè. Trasmettono grinta e determinazione fin dai gesti. Silvia, che conosce bene Giuseppe, lo chiama da trenta metri più in basso e lui, al telefono, risponde. Hanno un lungo dialogo, lei guarda su e lui guarda giù. I suoi occhi si fanno lucidi mentre sorride con il cellulare all’orecchio. “Questa occupazione ci costa molto, fisicamente e moralmente. Ma questo non è solo il nostro lavoro, è anche la nostra dignità”. Per molti dipendenti, questo stipendio rappresentava l’unica fonte di mantenimento per le rispettive famiglie. Il loro lavoro è la loro vita. Tutte le riunioni per trovare accordi sono andate a vuoto, e così l’occupazione continua. Finché sarà necessario. Silvia è molto chiara. “Scenderanno dalla torre solo quando qualcuno salirà là in alto e gli farà vedere un documento scritto sul quale si dica che ci ridanno il nostro lavoro”. Arriva la moglie di Carmine, è grintosa, urla il nome di suo marito che fa capolino dalla torre e la saluta. Poi si rivolge ai presenti, scherza con loro, tiene alto il morale. È una forza. Una ragazza si avvicina e ci dice: “Uno dei nostri compiti era l’assistenza sul treno ai malati. C’è anche un’area politica a cui fa piacere che ora il Nord e il Sud Italia non siano più uniti da un servizio ferroviario conveniente. C’è chi non vuole che le persone del Sud vengano a curarsi qui, negli ospedali del Nord”. I convogli arrivano e i macchinisti suonano a lungo e a intermittenza la sirena. “Sono con noi”. Mentre li ringrazi e li saluti, ti stringono la mano e ti dicono: “Auguri!”. Buona fortuna a voi.

#OccupyFs - Le ragioni della protesta


Per un esempio di corretta gestione aziendale, prego rivolgersi a Trenitalia. 

Perché offrire ai propri clienti un sistema di trasporto notturno rapido, comodo e a basso costo? Meglio concentrare gli sforzi societari sull’alta velocità, la cui rete non collega interamente il Paese,  i cui prezzi sono notevolmente più elevati,  privando i passeggeri di una cabina letto e obbligandoli a effettuare due o più cambi.

Questa è la scelta strategica che ha adottato Trenitalia. Dall’11 dicembre infatti la società ha deciso di sopprimere i treni a lunga percorrenza per investire tutte le risorse sui collegamenti con il Frecciarossa. Una decisione sconsiderata in quanto, dati alla mano, i treni notte erano il sistema di trasporti più comodo e accessibile che unisse il Paese. Non si tratta, come in altri casi, di un ramo societario ormai morto, incapace di generare reddito. Il sistema di trasporti notturno (peraltro finanziato da soldi pubblici) ha un introito molto alto, sempre anticipato, e le spese non sono certo eccessive, visto che il personale è ridotto al minimo e gestito da ditte appaltatrici. 

Un paio di numeri che vi permetteranno di capire meglio la strategia utilizzata da Trenitalia:

-          Nel 2009 il Comitato Ministeriale per la Programmazione Economica, stanzia un budget di 330 milioni di euro, per il finanziamento del trasporto ferroviario di passeggeri a media e lunga percorrenza, per il triennio 2009-2011

-          Dal 2010, 209 vetture, completamente ristrutturate e rimodernate per un totale di 79 milioni, vengono accantonate e lasciate nei parchi ferroviari a disposizione dei barboni.

-          A marzo 2011 le vetture a disposizione per i servizi nazionali e internazionali in circolazione risultavano 249. Ora sono 136. Con la nuova gara d’appalto diventeranno 60.

-          Da inizio 2011 le biglietterie Trenitalia, a chi volesse comprare un biglietto con posto letto, rispondono che il treno è pieno, nonostante alla partenza i posti disponibili sono sempre più della metà.

-          Ora chi volesse compiere un viaggio notturno, dal sud al nord del Paese, è costretto a utilizzare il sistema di trasporti Frecciarossa, che collega solamente Torino, Milano, Firenze, Roma e Napoli, dovendo per forza compiere numerosi cambi, e pagando un biglietto di mediamente 150 euro, laddove prima ne spendeva 60.

-          L’11 dicembre 2011 le imprese titolari dell’appalto licenziano circa 800 lavoratori dell’accompagnamento notte, mentre Trenitalia non ha ancora deciso a chi dare l’affidamento dei servizi di accoglienza sui treni notte.

Carmine Rotatore, Giuseppe Gison e Oliviero Cassini sono tra questi 800 lavoratori. Loro non ci stanno a fare da comparse in questa manovra adottata dall’amministrazione Trenitalia, in collaborazione con Ferrovie dello Stato. In una lettera si sono visti del tutto privati della dignità, già minata in anni di incertezza lavorativa, e della paga che gli permetteva, con grossi sacrifici, di mantenere le proprie famiglie.

Da 13 notti si sono accampati a 30 metri d’altezza, sulla torre dell’alta tensione al binario 21 della Stazione Centrale di Milano; anche lavoratori di Roma e Torino hanno seguito il loro esempio, mettendo in piedi quello che si può definire un atto di eroica (R)esistenza. Non scenderanno dalla torre finché non avranno la certezza che Trenitalia gli garantisca un posto di lavoro, reintroducendo il servizio di treni notte, o dislocandoli in una delle molteplici società controllate dal gigante delle ferrovie.

Noi siamo stati in Stazione Centrale a Milano, e quello che vi possiamo testimoniare è che queste persone non si fermeranno, passeranno anche il Natale accampati come senza tetto, perché gli è stato negato il diritto fondamentale della ricerca della felicità, perseguibile attraverso il loro lavoro, senza il quale Trenitalia, non solo dimostra un’incapacità a fornire una crescita economica e professionale alle proprie risorse umane, ma smantella un servizio sociale, che i cittadini italiani si erano garantiti con i propri contributi.

domenica 4 dicembre 2011

Le lacrime del ministro

Le lacrime del ministro del Welfare Elsa Fornero non sono dovute all'emozione che si prova mentre si spiegano davanti a una platea di giornalisti e cameramen i contenuti della manovra per salvare l'Italia. Non solo. Dietro alla voce strozzata sulla parola "sacrificio", dietro alle lacrime di un ministro ma anche (non dimentichiamolo) di un essere umano, sta la consapevolezza piena delle conseguenze di tali azioni, di tali provvedimenti. Il presidente del Consiglio Mario Monti completa: "il venire meno dell'indicizzazione dell'inflazione per le pensioni, tuttavia salvaguardando le pensioni minime": ovvero, se l'inflazione crescerà, non cresceranno i valori delle pensioni di conseguenza, ma rimarranno a livelli fissi. E se i prezzi aumentano in maniera generale, ma con essi non aumenta l'ammontare di reddito, vuol dire che diminuisce il potere d'acquisto, e aumenta la povertà. È un sacrificio con la "s" maiuscola: lo Stato chiede maggiore povertà ad alcuni cittadini, li abbandona se vogliamo, con tutte le conseguenze possibili. La Fornero lo sa, e anche se le sue lacrime non aiuteranno, nei fatti, l'Italia, è da sottolineare che una tale consapevolezza non si vedeva da molto, negli occhi di un ministro italiano.

Tremonti reloaded

Ogni tanto è divertente (si fa per dire) andare a ripescare i vecchi documenti delle vicende politiche passate e rileggerle a distanza, a freddo, vedendo che effetto fa. Di recente ho riletto la lettera che Giulio Tremonti, al secolo ministro dell'Economia del quarto governo Berlusconi, inviò il 29 luglio scorso al Corriere della Sera. Scrisse una lettera perché era appena scoppiato il caso Milanese: braccio destro del ministro, suo collaboratore politico e parlamentare del Pdl, indagato per sporchi affari, condivideva con Tremonti un appartamento a Roma per il quale, tra l'altro,  l'ex ministro sborsava, ogni mese e a partire dal 2008, 4 mila euro in contanti e in nero.


La lettera è interessante perché è abbastanza comica. Per almeno due motivi: il primo - l'aspettativa (quasi sempre tradita, nel tempo) di un cittadino sull'abilità di un politico, almeno retorica, è alta, mentre qui è tradita subito; secondo - da un uomo con incarichi così importanti ci si aspetta molta serietà oltre che una buona dose di competenza nell'organizzazione di un settore così delicato come l'economia e la finanza. Perché di fatto ne era ministro e quindi era - in linea di massima - la persona migliore che potesse essere incaricata dal partito o comunque un buon "dipendente" (ministro = minus = inferiore, alle dipendenze di) del popolo che sapesse amministrare bene i conti. Nella lettera spiega:


Ho commesso illeciti? Per quanto mi riguarda, sicuramente no. Ho fatto errori? Sì, certamente. In primo luogo, se qualcosa posso rimproverarmi, vi è il fatto di non aver lasciato prima l'immobile. L'ho fatto in buona fede. [...]. Come scusante rispetto a quelli che Sergio Romano (giornalista del Corriere, ndr) definisce un "errore di giudizio" od un "peccato di distrazione", posso solo portare l'impegno durissimo in questi anni non facili, su tanti fronti. 


Ma davvero non ha commesso illeciti? In teoria no, cioè sì, li ha commessi: l'articolo 1 comma 346 della Finanziaria 2005 prevede l'obbligo di registrazione di tutti i contratti di locazione nonché dei contratti di godimento; È poi divertente (ma si fa sempre per dire) leggere che un ministro attribuisca la causa dei suoi errori alla "buona fede" e al fatto che, poiché questi anni sono difficili, dedica un durissimo impegno su tanti fronti. Un errore può scappare, insomma, nessuno è perfetto: tra l'altro siamo italiani. Perfetti no, certo, ma a rischio default sì.

giovedì 1 dicembre 2011

Piazza Tahrir 2

La primavera araba sta per giungere al suo primo anniversario di vita: erano i primi mesi dell'anno a finire e nel Nord Africa si scatenava la protesta dei popoli del Maghreb. In questi giorni l'Egitto si vede proiettato al voto, e dopo tanti anni il popolo egiziano ha la possibilità di esprimere la propria preferenza politica. Nei giorni scorsi, tuttavia, lo scenario che si presentava ai nostri occhi non è risultato pacifico: il sangue scorreva ancora e tristi immagini ci giungevano dalle telecamere di Piazza Tahrir. Ho potuto raggiungere ancora Ahmed, che già intervistai a febbraio. Gli ho chiesto di definirmi in un soffio la situazione.
Ciao Ahmed, stiamo assistendo in questi giorni a scene terribili in Egitto e Piazza Tahrir si dimostra ancora come un luogo di protesta e repressione sanguinosa. Perché?
La Giunta Militare ha annunciato di aderire ai principi da approvare in costituzione da parte dell'Assemblea Popolare. Il significato di questi principi è chiaro: l'esercito ha la più alta autorità nel paese.
Cosa sta accadendo?
Le persone si sono sentite tradite e hanno deciso di uscire per esprimere il loro dissenso riguardo l'approvazione del documento. Sono rimaste tristemente sorprese dal fatto che l'esercito uccida la gente, come accadeva con il precedente governo.
Cosa pensi che possa accadere nei prossimi giorni?
Questa vicenda si ripercuoterà su tutti i partiti politici e su tutte le sezioni del popolo.