venerdì 23 dicembre 2011

l'occupazione di Milano Centrale: "Il lavoro è la nostra dignità"


Storia di un'Italia che resiste e che esiste. Alla stazione di Milano Centrale, la notte, la temperatura scende sotto lo zero. Eppure da più di dieci giorni Carmine, Giuseppe e Oliviero, tre degli 800 lavoratori dell’indotto di Ferrovie dello Stato, sono su una torre faro e gridano attraverso gli striscioni che il loro lavoro è la loro dignità e la loro vita. Con loro, sotto alla torre, si sono organizzati i colleghi e le famiglie. Gli stessi colleghi che hanno occupato, sotto l’immensa tettoia grigia che ripara i convogli che arrivano e partono, un ufficio dentro al quale non può accedervi nessuno. Fuori dalla porta, davanti al binario 21, raccolgono le firme per una petizione che chiede la restituzione delle Ferrovie dello Stato all’Italia. Perché di questo, ci dicono, si tratta: nuove strategie di viaggio. “Le Fs hanno un cuore pubblico, ma una mente sempre più privata” ci spiega Domenico, di presidio all’ufficio. “L’Italia è spezzata in tanti segmenti ora. I treni a lunga percorrenza, quelli che viaggiano di giorno e di notte dal Sud al Nord, non esistono più. Ora investono solo sull’alta velocità, sulle Frecciarossa e Frecciargento. È una vera imposizione: i passeggeri sono costretti a dover usufruire dell’Alta Velocità in modo da mantenere un mercato che possa fare concorrenza al nuovo servizio Ntv. Il problema è che l’Alta Velocità è molto più costosa, e il treno diventa un mezzo di trasporto elitario”. Ma la cosa che fa arrabbiare Domenico è che Ferrovie dello Stato è un servizio pubblico, finanziato con le tasse di tutti i cittadini. “Inizialmente il boicottaggio era fatto di gesti: alla biglietteria non ti facevano il biglietto, sui nostri palmare di bordo risultavano posti letto che in realtà non esistevano, perché avevano tolto le carrozze. Ora hanno tolto definitivamente anche noi”. Per la petizione ci fanno sapere che hanno raccolto già 4500 firme. I passeggeri che scendono dai vagoni si fermano e manifestano la loro solidarietà. “Anche se non tutti capiscono il motivo della nostra occupazione. L’altro giorno è passato un viaggiatore e ci ha risposto: ‘Sono di Firenze, non mi interessa’. E tu ti chiedi: ma dove vive? Non è forse Firenze una città d’Italia?”. Mentre parliamo ci indicano una signora. È cieca e per questo accompagnata. Ci dicono che è a Milano per una visita al San Raffaele e viene dalla Puglia. Ha dovuto spendere 90 € per il biglietto, perché i più convenienti treni notte per Milano non esistono più. Arrivano le famiglie che ci accompagnano alla torre occupata, attraverso i binari che si snodano all’infinito. La brina ha intaccato tutte le assi di legno dei binari morti. Giorgia lavorava sulla percorrenza Milano-Roma. È separata e ha un figlio, che riusciva a mantenere con il suo stipendio. Ora che è stata licenziata dovrà affidare il bambino al padre. “È cresciuto così in fretta. Quest’anno ha cominciato la prima elementare e va molto bene a scuola. Ha capito perfettamente la nostra situazione, la mancanza di certezze. È lui a darmi la forza”. Quando arriviamo sotto alla torre, ai nostri occhi si presenta l’immagine di una piccola comunità organizzata. Hanno allestito una cucina da campo, sono estremamente gioviali, ci offrono il caffè. Trasmettono grinta e determinazione fin dai gesti. Silvia, che conosce bene Giuseppe, lo chiama da trenta metri più in basso e lui, al telefono, risponde. Hanno un lungo dialogo, lei guarda su e lui guarda giù. I suoi occhi si fanno lucidi mentre sorride con il cellulare all’orecchio. “Questa occupazione ci costa molto, fisicamente e moralmente. Ma questo non è solo il nostro lavoro, è anche la nostra dignità”. Per molti dipendenti, questo stipendio rappresentava l’unica fonte di mantenimento per le rispettive famiglie. Il loro lavoro è la loro vita. Tutte le riunioni per trovare accordi sono andate a vuoto, e così l’occupazione continua. Finché sarà necessario. Silvia è molto chiara. “Scenderanno dalla torre solo quando qualcuno salirà là in alto e gli farà vedere un documento scritto sul quale si dica che ci ridanno il nostro lavoro”. Arriva la moglie di Carmine, è grintosa, urla il nome di suo marito che fa capolino dalla torre e la saluta. Poi si rivolge ai presenti, scherza con loro, tiene alto il morale. È una forza. Una ragazza si avvicina e ci dice: “Uno dei nostri compiti era l’assistenza sul treno ai malati. C’è anche un’area politica a cui fa piacere che ora il Nord e il Sud Italia non siano più uniti da un servizio ferroviario conveniente. C’è chi non vuole che le persone del Sud vengano a curarsi qui, negli ospedali del Nord”. I convogli arrivano e i macchinisti suonano a lungo e a intermittenza la sirena. “Sono con noi”. Mentre li ringrazi e li saluti, ti stringono la mano e ti dicono: “Auguri!”. Buona fortuna a voi.

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