Venerdì pomeriggio, con i nostri zainetti in spalla, siamo partiti in quattro alla scoperta di Pechino. L'avevo già attraversata in bus appena scesa dall'aereo per andare in stazione, ma l'immensa stanchezza e il buio mi avevano impedito di capire che tipo di città stesse correndo fuori dal finestrino. Beijing è immensa. E come ogni grande città, piena di gente. Se poi si parla di città cinese, diventa ancora più piena.
Grazie al nostro fiuto anti turismo e posti finti, abbiamo scovato un ottimo ostello, vicino a piazza Tiananmen. Piccolino, struttura in legno, piccolo cortile interno, lanterne rosse appese ai soffitti, stradine cinesi intorno. Una meraviglia. Sabato mattina, sveglia praticamente all'alba, e via, verso la Grande Muraglia. Avevamo optato per Jinshanling, uno dei punti meno battuti da turisti e venditori ambulanti. Non si capisce la maestosità della Muraglia finché non la si vede. Le foto non rendono, i racconti nemmeno. Il primo tratto era stato ristrutturato e c'erano poche altre persone, è bastato camminare per un paio di chilometri per non trovare più nessuno, la Muraglia quasi abbandonata, e solo noi, arrancanti tra una torre e l'altra. C'era foschia, si vedevano le colline circostanti e questo serpentone in pietra che continuava ondeggiante sulle creste. Ci fermavamo in silenzio a contemplare il panorama, ognuno perso nei suoi pensieri, con un sorriso commosso sul viso.
Tornati a Beijing la sera, combattendo con la stanchezza, ci siamo avventurati nella notte che arrivava. Siamo stati sul palazzo più alto di Pechino, ottanta piani in un microsecondo di ascensore, roba da mescolare tutti gli organi all'interno del corpo. All'ultimo piano c'è un bar di stra lusso, adatto ai nostri vestiti bucati, scarpe da ginnastica, facce trasandate. Ci han fatto entrare, senza porsi troppi problemi riguardo il nostro terribile abbigliamento. C'è però da dire che la maggior parte dei cinesi si vestono proprio male. Essendo il posto non proprio adatto alle nostre tasche, ci siamo spostati a Sanlitun, zona piena di locali, frequentati quasi solamente da occidentali. Quei posti che io eviteri a piè pari, ma che ogni tanto è anche bello frequentare. Domenica mattina, mi son letteralmente lanciata giù dal letto a castello per spegnere la sveglia, svegliando gli altri tre con il mio tonfo, e non con le dolci parole che avevo preparato. Dettagli. Con grande coraggio ci siamo diretti alla Città Proibita. È stata un po' una delusione, ma probabilmente a causa del tempo non ottimo, delle nostre condizioni discutibili, della marea di gente che l'affollava. Ne siamo usciti esausti. Treno per tornare a Shijiazhuang, che abbian chiamato, senza pensarci, casa.
Il treno. Ho sempre pensato che per capire un paese, un popolo, sia necessario fare un viaggio sulle rotaie. Il viaggio d'andata era stato esasperante, e prima di salire sul vagone per il ritorno il nostro pensiero è stato: "Speriamo di non incontrare nessun cinese", abbastanza improbabile essendo in Cina. L'andata l'abbiamo fatta in seconda classe, un treno lentissimo, con bambini che facevano pipì nel corridoio tra i sedili, altri che ci saltavano dentro come fossero pozzanghere, la donna delle pulizie che passava con lo straccio spargendo suddetto liquido per tutto il vagone, cinesi che ci fissavano facendoci ogni tipo di domande, sì, ci han anche chiesto quando abbiamo intenzione di sposarci, si sono messi a leggere la mano a uno di noi, darci consigli su che parte vedere della Grande Muraglia. Consiglio che ovviamente non abbiamo seguito, conoscendo il gusto pacchiano di grande parte degli asiatici. Al ritorno ci siamo concessi la prima classe, spendendo pochi yuan in più, isolandoci con la musica nelle orecchie per non dover intrattenere nuovamente un intero vagone di omini dagli occhi a mandorla.
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